«Siate fiduciosi che Allah concederà la vittoria a quanti lo pregano, e ricevete la buona notizia che il nostro Stato se la sta cavando bene. Più è intensa la guerra che gli viene mossa, più diventa puro e forte». Gli osservatori sono concordi che quello diffuso il 26 dicembre dal Califfo Abu Bakr al Baghdadi, è un audio “difensivo”, che ha come obiettivo più che altro rassicurare i proseliti che l’organizzazione è ancora in piedi, la missione apocalittica procede, le “armi degli infedeli” non stanno indebolendo lo Stato islamico. L’audio, la cui autenticità dovrebbe essere confermata, ha di per sé valore giornalistico, perché è una circostanza insolita e arriva dopo sette mesi di silenzio, soliti annunci di uccisioni e ferimenti da parte del governo iracheno e di improbabili fughe libiche del Califfo.
IL CONTESTO
Una settimana fa, un report della rivista britannica che si occupa di intelligence, Jane’s, testimoniava che i baghdadisti hanno perso il controllo soltanto del 14 per cento del proprio territorio: cioè, nonostante siano combattuti da due coalizioni, una a guida americana l’altra russa, di potenzialità numerica e militare notevolmente superiore, i soldati del Califfato non stanno perdendo. Circostanza che dà peso numerico alle parole retoriche, classiche, del messaggio diffuso da Khalifa Ibrahim. Che però arriva anche nel momento in cui lo Stato islamico sta (ormai è questione di ore, anche se la resistenza è tosta) per perdere il controllo del capoluogo dell’Anbar, Ramadi, città legata storicamente e culturalmente al gruppo jihadista fin dai tempi dei prodromi sotto Abu Musab al Zarqawi, e terra di rifugio per una grande quantità di sunniti, confessione del Califfo, vessati dal vecchio governo sciita iracheno (sunniti contro sciiti è il tema centrale sia delle predicazioni califfali, sia della forte spinta avuta dal gruppo nell’estate del 2014, quando le tribù sunnite locali, non ci pensarono troppo a concedere le proprie terre all’avanzata del Califfato).
I TEMI DELL’AUDIO
Il capo dello Stato islamico ha calcato argomenti classici, quasi didattici: su Twitter, da dove (tramite il braccio media Al Furqan) è stato diffuso inizialmente l’audio, molti osservatori hanno fatto notare che il messaggio di Baghadadi non ha avuto la forza che ci si aspettava dalle parole del leader, per altro arrivate dopo un lungo silenzio. Tra i temi principali, una lunga invettiva contro Israele: le posizioni anti-ebraiche e anti-israeliane del gruppo jihadista non sono una novità, ma di solito quando i messaggi mediatici dell’organizzazione si concentrano contro un nemico, nascondo informazioni subliminali su un prossimo, potenziale, attacco. Altro punto calcato, le minacce al regno saudita, considerato nemico perché ha ceduto alle impurezze occidentali (l’Arabia Saudita è alleata dell’Occidente): Riad è stata presa di mira anche per aver creato la coalizione militare che alcuni analisti hanno definito “la Nato islamica“, composta da vari paesi dell’area MENA (acronimo inglese per Medio Oriente e Nord Africa).
COSE NON DETTE (E NON CHIARE)
Tra inviti alla compattezza e sfida ai crociati, accusati di non avere il coraggio di scendere sul campo (tema noto: il Califfo vorrebbe uno scontro epico, magari a Dabiq, piccola città ma simbolica vicino ad Aleppo, tra le truppe del suo esercito e quelle dei “crociati”) e invettive contro gli attuali stivali dell’Occidente (e cioè le milizie arabe che combattono l’Isis in Siria e Iraq e le forze curde), a far notizia è quello che è mancato nel discorso, più di quel che c’era. E cioè, riferimenti espliciti ai grandi attentati di Parigi, alla (probabile) bomba sull’areo di linea russo caduto sul Sinai, all’attacco di San Bernardino. E mentre per quest’ultimo il link col Califfato è effettivamente debole (e forse connesso a una scelta personale, più che ad un piano specifico e comandato), gli attentati nella capitale francese hanno scoperto avere come regia un network che attingeva direttamente dal territorio siro-iracheno, e se è vera la bomba sull’Airbus russo, si sarebbe trattato di un’opera compiuta dagli uomini della provincia del Sinai, cioè da un territorio amministrativo comunque centralizzato e collegato a Raqqa. Non è chiaro, dunque, perché Baghdadi abbia deciso di non citare questi fatti e di non intestarsene la responsabilità, pur citando molti paesi dove la fazione ha ottenuto appoggi, e nonostante abbia fatto riferimento a vicende recenti (e dunque l’audio non è stato registrato in precedenza) come l’alleanza militare promossa da Riad.
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